Di donne, di madri e di dee

Il mito nasce dalla storia che diventa prima leggenda poi epos, infine rimane inalterato nei secoli come archetipo. Immaginiamo un tempo lontano, in cui ad una donna, vissuta quando ancora gli dei camminavano e si muovevano in terra di Sicilia, viene rapita brutalmente la figlia da un uomo che, visto il mestiere che esercitava, difficilmente avrebbe trovato una moglie o una compagna per sé. Pensiamo a questa madre che si vede strappata via la figlia e che, con la forza che solo chi genera la vita è capace di avere, non si arrende, cerca questa giovane fanciulla per terra e mare, fino a quando la sua tenacia viene premiata, la figlia restituita anche se con un compromesso che potrebbe sembrare apparentemente al ribasso, ma che serve per spiegare il ciclo stesso della vita sulla terra. In queste pagine si è già trattato dei culti autoctoni di Sicilia, raccontando la storia di Adrano e del suo tempio custodito dai molossi e di Dafni, il pastore reso cieco da Hera per punizione. Ma il mito che viene prima di tutti gli altri miti e al quale poi forse anche tutti gli altri si raccordano parla di una donna, di una dea posta a guardia della più grande ricchezza della Sicilia, cioè il grano.

In realtà questo culto, così diffuso sull’isola ancor prima che venisse conquistata dai Greci e che rimase autoctono anche dopo la loro dominazione, si deve ricondurre al mito che è il vero proprio archetipo del mondo occidentale e non solo: il culto alla dea madre, cioè la terra concepita come elemento universale dal quale tutto discende, citata anche nel terzo libro della sua Biblioteca storica da Diodoro Siculo, lo storico di Agira autore di un testo prezioso che ha permesso di raccogliere in un unico libro scritti di autori che altrimenti sarebbero andati perduti. In Sicilia il culto di Demetra si sviluppa principalmente attorno alla città di Enna e si stratifica con quello importato dalla Grecia, in particolare dalla pianura di Eleusi. Divinità della terra coltivata, Demetra diede agli uomini il dono dell’agricoltura, insegnò loro a macinare il grano e a fare il pane e dettò le regole del vivere civile e persino le leggi. Si intuisce facilmente come il culto di questa divinità segua di pari passo le zone del Mediterraneo dove più intensa è la produzione di grano e lei stessa viene rappresentata come una donna molto bella, dai capelli biondi colore del grano maturo, seduta con una fiaccola e un serpente in mano, e alla quale veniva sacrificato un maiale, a sua volta simbolo di fertilità. In un mondo così profondamente legato alla produzione cerealicola, con lo spettro di carestie e di fame sempre presente, la presenza di una divinità protettrice dei raccolti era di vitale importanza. Questo spiega il gran numero di santuari dedicati a Demetra sparsi in tutta la Sicilia, da Enna fino a Morgantina, passando per Eloro, Agrigento, Gela, Catania, e persino le isole Eolie, dove sono stati ritrovati reperti che si possono far risalire alla presenza di un santuario dedicato alla dea e alla figlia Persefone. Perché il culto di Demetra è strettamente legato alle vicende della figlia.

La storia, anzi il mito, è arcinoto e su questo non occorre soffermarsi a lungo: Ade, il signore del regno dei morti, vide la fanciulla mentre raccoglieva dei fiori accanto al lago di Pergusa (considerato dagli antichi una delle porte dell’oltretomba). Se ne invaghì e la rapì trascinandola nel suo regno fatto di buio e di ombre. Distrutta dal dolore per la perdita della figlia, la dea impedisce alla terra di dare i propri frutti, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa degli uomini. Nella ricerca di Persefone, Demetra giunge sull’Olimpo e pretende da Zeus la restituzione della figlia, in un testa a testa che vede una madre lottare e vincere persino con il re degli dei. Si giunge infine ad un compromesso che Zeus stesso sottoscrive: poiché Persefone nell’Ade ha assaggiato sei chicchi di melagrana, sarà costretta a rimanere negli inferi per sei mesi e per il restante tempo dell’anno potrà ritornare dalla madre. Questo il mito, che raccoglie valenze fortemente simboliche. Fin troppo facile leggere nel palinsesto della storia i cicli della natura, delle stagioni e dei raccolti. La presenza nel racconto del frutto di melagrana indica una peculiarità del frutto stesso: citato persino nella Bibbia nel libro dei Re, come motivo scelto per decorare il tempio di Salomone, ricordato dall’Islam come uno dei frutti buoni nel Giardino del Paradiso, nella cultura greca il frutto indica il dualismo vita/morte e i sei chicchi di melagrana che Persefone aveva mangiato nell’Ade stanno a indicare i sei mesi che lei dovrà trascorrere negli inferi. Il simbolismo del frutto continua anche nella religione cristiana: basti ricordare il dipinto di Botticelli conservato nella Galleria degli Uffizi, che raffigura la Madonna e il Bambino Gesù circondati da un coro di angeli. Madre e figlio tengono tra le mani proprio un melograno, simbolo di rinascita, di regalità (la coroncina sulla sua sommità), ma anche, poiché i suoi frutti sono di colore rosso, simbolo del sacrificio di Cristo, oltre che dell’unità della Chiesa perché i suoi chicchi sono tutti racchiusi nel guscio.

Torna quindi ancora ancora il sincretismo religioso che lega il culto di Demetra a quello della Madonna e di cui un esempio si trova a Bitalemi, nel santuario in cui si venera la Madonna di Betlemme, dove il culto della Madre di Dio si sovrappone a quello in cui nello stesso luogo (il termine Bitalemi deriva da Betlemme, cioè casa del pane in ebraico) si venerava la dea Demetra. Una piccola curiosità che ricorda come il passato e la memoria del passato ritornino ciclicamente e si sovrappongano alla vita di tutti i giorni in Sicilia: il Pitrè, già citato in queste pagine, racconta che fino al secolo scorso durante la festa patronale di san Giorgio a Ragusa Ibla, dai partecipanti nei campi veniva gettata carne putrefatta di maiale (uno dei simboli con cui era raffigurata Demetra) e del pane spezzato per favorire raccolti abbondanti. Infine, va ricordato che la Regione Sicilia ha inserito il Mito di Demetra nel registro LIM (luoghi dell’identità e della Memoria), individuando come luoghi il Santuario rupestre di Agrigento, la Rocca di Demetra ad Enna, il promontorio di Trapani e la cima del vulcano Etna.

Adriana Antoci