Gli animali e il karma

La disputa se gli animali posseggano o meno un’anima è antica quasi quanto l’uomo e insorge nel momento in cui nascono le prime forme di religioni evolute. Attribuirla a un cavallo, un cane, un rospo, una civetta, significa riservare loro un posto nel regno ultraterreno e giudicarli immortali. Nella cultura egizia ai morti venivano affiancati sempre degli animali di ogni tipo e specie, per questo venivano mummificati. Si riteneva che il cane o il gatto potessero aiutare nel trapasso, proteggendo il morto dalle forze negative e indicando la strada verso il paradiso. L’uomo aveva l’obbligo di non fare loro del male, durante la sua esperienza terrena, in caso contrario al momento della morte avrebbe dovuto confessare le colpe commesse.

Anche nei vangeli apocrifi si parla di anima per quanto concerne gli animali. Sia San Giustino che Sant’Agostino la riconoscono. Nel medioevo questo concetto però decadde e gli animali vennero considerati “bestie”, ritenuti come un patrimonio su cui l’uomo poteva porre mano per ogni capriccio o esigenza. In essi si vedeva l’incarnazione del male e questa situazione peggiorò nel Rinascimento quando l’uomo venne posto al centro del cosmo. Solo nel XIX secolo si avrà una leggera inversione di tendenza, fino ad arrivare ai giorni nostri dove si tornerà a credere che anche gli animali siano in possesso di un’anima.

La religione induista li considera coinvolti nella reincarnazione e nel karma. Tuttavia, sono considerati in possesso di una minore coscienza e quindi in uno stato minore di evoluzione spirituale. Sono dunque gli animali a scegliere di percorrere le nostre vie, facendo parte del nostro karma e noi del loro. In qualunque modo vi entrino erano già scritti nel nostro destino, in questa come in altre vite.

Secondo Brian Weiss, psichiatra e scrittore statunitense, è frequente che un animale si incarni più volte nel corso della nostra esistenza, cambiando semplicemente pelle ma facendosi riconoscere da piccoli dettagli. Molte persone in punto di morte riferiscono come visione tranquillizzante non un parente già defunto, ma un animale.

Essi sono nel nostro cammino evolutivo e noi nel loro. Per questo motivo dovremmo sempre rispettarli e averne cura.

Sonia Filippi