Seconda parte
Riprendiamo il racconto di Mario, il Maresciallo in congedo dell’Aeronautica Militare Italiana.
L’oggetto si abbassò lentamente e a pochi metri dalla sua testa si bloccò nuovamente; di colpo si aprì una fessura da dove uscì una scaletta che a Mario, ancora adesso, pareva fatta di corde con i pioli in legno. Da qui comparve un “bambino” che iniziò a scendere lentamente fino a toccare terra a circa un paio di metri dallo sbalordito Mario. Ancora oggi ricorda l’aspetto di quella figura: un bambino alto circa come lui (dunque pressappoco 140/150 cm), dal viso tondo con la pelle tutta raggrinzita come un “vecchietto” con un’andatura ondeggiante, quasi da mezzo ubriaco. In testa portava una specie di cappello tipo cilindro, ma dalla tuba un po’ più bassa; l’essere senza dire nulla si avvicinò a Mario togliendosi il copricapo e porgendoglielo fece segno di spostarsi. Mario si fece da parte per far passare l’essere il quale appoggiò il cappello sopra una spiga di grano sorprendentemente rimanendo sospeso e voltandosi verso il ragazzino fece segno di prendere il cappello e di metterglielo in testa. L’essere dovette insistere qualche volta poiché il ragazzino non capiva quale fosse il motivo di tutto questo ma alla fine decise di fare come chiedeva lo straniero. Mario allungò le mani per prendere il copricapo, ma appena tentò di alzarlo incredibilmente non riuscì nemmeno a muoverlo di un centimetro. Allora si fece forza e facendo leva sulle gambe tentò di sollevarlo per toglierlo dalla spiga, ma niente! Quell’oggetto pareva pesare tonnellate! Tentò ancora ed ancora… Ora Mario non ricorda quanto tempo trascorse in quel tentativo che alla fine si rilevò essere nullo; fatto sta che ad un certo punto l’essere sorrise compiaciuto ed allungando una mano prese il cappello e se lo rimise in testa come fosse improvvisamente diventato leggero. Mario a quel punto rimase sconvolto (parole usate dallo stesso durante il racconto della sua storia) per non essere riuscito a sollevare quel cappello; lo straniero si voltò, salì le scalette, entrò nel velivolo e salutò il ragazzino come si fa normalmente fra le persone. Le scalette furono ritratte e con uno sbuffo d’aria, senza nessun rumore “l’uovo” ripartì in diagonale in direzione Padova. Tutta la vicenda si verificò senza che l’umanoide emettesse nessun suono, nessuna parola, come fosse muto. Si fece capire solo a gesti. Una cosa strana risulta il fatto che il mio interlocutore non ha ricordo su come fosse vestito l’essere, salvo che pareva avere una sorta di copri spalle. Quando chiesi a Mario se ricordava alcuni dettagli, tipo la grandezza del velivolo, egli mi rispose che all’epoca pareva apparire all’incirca di tre o quattro metri di larghezza, ma oggi non ne è più sicuro poiché le dimensioni erano quelle stimate da un quattordicenne e non da un uomo adulto e sicché potevano tranquillamente essere diverse. Mi disse inoltre che non rimase impressionato dall’incontro con quell’essere ma quello che lo fece stare male fu il fatto di non essere riuscito a sollevare il cappello; anche se oggi non è così sicuro che potesse effettivamente trattarsi di un cappello, ma potrebbe essere stato un qualche tipo di congegno usato per fare una prova-esperimento su di lui, del tipo peso-gravità terrestri o simili. Un po’ quelli che potremmo aver fatto noi con gli astronauti sulla Luna.
Gli chiesi se avesse raccontato a qualcuno di quell’incontro. Mario mi spiegò che appena il velivolo sparì in cielo, egli se ne tornò a casa e lo raccontò a suo padre che, manco a dirlo, si arrabbiò perché non era il caso di raccontare storie inventate ed assurde. Forse la nonna gli credette, poiché gli disse che se il racconto fosse stato vero, Mario aveva incontrato il Diavolo! “Non dimenticare gli anni in cui si manifestò quell’incontro…” mi disse Mario quasi a giustificare la nonna e il padre. “Ma in cuor mio non mi importò mai nulla se non mi avevano creduto; io ero rimasto colpito negativamente più per la storia del cappello, che non per l’evento in sé. Dopo qualche settimana non ci pensai più e la questione finì lì, senza strascichi di sorta.
Quando poi, oramai ventenne, durante la ronda col collega militare successe l’altro evento, mi resi conto che forse all’epoca avevo avuto un incontro con un essere proveniente da un altro pianeta. Col tempo, quando si iniziò a parlare di Oggetti volanti provenienti dallo spazio, iniziai a fare le mie debite considerazioni, arrivando come puoi immaginare a pensare che effettivamente le cose stavano effettivamente così. Quando poi durante un volo di trasferimento Nato vidi il nostro aereo seguito da un oggetto anomalo, una volta tornato a casa, iniziai a informarmi su quel tipo di fenomeni ma per mancanza di tempo, per problemi personali e per la divisa che indossavo alla fine non riuscii a farlo in modo serio. Ora, non me ne interessa più di tanto, ma visto che ho scoperto che tu sei interessato al fenomeno ho voluto raccontarti la mia storia. Anche se in tutta onestà non so perché l’ho fatto.”
Ringraziai dunque Mario e radunato il resto della famiglia ce ne tornammo a casa. Ma la storia raccontatami, macinava nella mia testa e mi tormentava come un tarlo sul legno! Qualche giorno dopo incrociai Mario e chiesi se potevo fargli vedere una ricostruzione di alcuni esseri avvistati in anni passati. Acconsentì e ci trovammo nuovamente per una cioccolata sempre a casa sua. Infatti la questione dell’essere piccolo dalla pelle raggrinzita mi rodeva poiché più passava il tempo, più cercavo una conferma di una mia idea personale. Mi recai a casa sua con una copia stampata della copertina de “La Domenica del Corriere” del 1954 raffigurante Rosa Lotti Dainelli mentre tenta di salvare le sue calze da un umanoide piccolo dalla pelle raggrinzita, così come venne raffigurato da Walter Molino. Come si sa, la signora Dainelli il mattino del primo novembre 1954, con l’intenzione di assistere alla messa di Ognissanti e visitare il cimitero, percorse un sentiero di campagna che portava alla chiesa di Cennina. Per quell’occasione importante, indossava un vestito nuovo e per non rovinare le scarpe buone decise di portarle a mano insieme alle calze e a un mazzo di fiori. Nei pressi di una radura intravide un oggetto appuntito. Avvicinandosi notò che era fusiforme ed era incastrato nel terreno in posizione verticale, ovvero una specie di doppio cono, alto oltre due metri. Nella parte bassa del cono c’era un portello aperto di vetro, e all’interno si potevano vedere due piccoli sedili, piccoli come quelli usati dai bambini. Dai cespugli uscirono improvvisamente due esseri dalle fattezze umanoidi ma alti pressappoco un metro. Indossavano una tuta grigia aderente con bottoni lucenti, una corta mantellina sulle spalle ed un casco di cuoio che copriva le orecchie. I due esseri le presero i fiori e una calza che riposero nell’ordigno fusiforme. Da come gesticolavano e dal tono della voce non sembravano minacciosi, ma amichevoli. Parlavano una lingua descritta come simile al cinese. La signora protestò per riavere indietro le sue cose ma i due esseri presero dall’interno dell’oggetto fusiforme uno strumento cilindrico marrone e lo puntarono verso la signora come per fare delle fotografie. La donna si spaventò e corse via. Mario non era a conoscenza della storia nei suoi dettagli più specifici, ma solo a livello superficiale; ma non appena vide gli esseri rappresentati in quella stampa non esitò a definire il suo “essere” molto simile a quelli raffigurati da Molino. “Solo che quello che incontrai allora, appariva ancora più vecchio, quasi rugoso” specificò deciso. “Ma direi che ci siamo andati molto vicini”. Finito di conversare, salutai il mio interlocutore e ritornai a casa.
In base ad alcune mie considerazioni personali si potrebbe presupporre che Mario abbia avuto un incontro ravvicinato che per tipologia potrebbe risultare molto simile sia per la modalità che per l’essere presumibilmente alieno, molto simile a quello subito nel 1954 dalla signora Dainelli in quel di Arezzo. É chiaro che dire con certezza di essere in presenza della stessa situazione è onestamente non corretto; parto semplicemente dal tipo di descrizione fisica data da Mario che già nell’immediato mi ha fatto tornare alla mente il noto caso Dainelli. E la conferma diretta potrebbe essere data dallo stesso testimone, visto che non appena mostrata la tavola a colori di Walter Molino, ha individuato nell’essere rappresentato il “suo”. Come se non bastasse il caso di Mario del 1951 o 1952, potrebbe essere considerato a tutti gli effetti il primo incontro ravvicinato del terzo tipo (IR3) documentato avvenuto in provincia di Vicenza, retrodatando di conseguenza l’evento di Gallio del 1978, sempre in provincia di Vicenza. Tornando al nostro Mario, posso con certezza affermare che si tratta di una persona della quale non dubito assolutamente circa la sincerità e buona fede. Senza poi tralasciare dettagli secondari ma probatori della sincerità dell’evento, non dimenticherei le testimonianze rilasciatemi dalla figlia e dalla moglie dell’ex militare. Entrambe infatti, in sede separata, mi hanno confermato che l’uomo non ha mai fatto menzione dell’accaduto a nessuno se non a parenti più prossimi (oltre a loro due, naturalmente); nemmeno agli amici più intimi Mario ha confidato il suo racconto di gioventù. Alle due donne lo ha raccontato in tre o quattro occasioni nel corso della sua vita famigliare a dimostrazione della riservatezza della questione. Con mia estrema soddisfazione, quindi, mi posso ritenere fortunato nell’essere stato la prima ed unica (al momento) persona al di fuori dell’ambiente famigliare di Mario ad essere stato informato circa la sua incredibile ed anomala vicenda giovanile, ritenuta a ragione dallo stesso testimone una sorta di tesoro intimo fino ad ora mai divulgato.
NOTA DELL’AUTORE: purtroppo il sig. Mario oggetto dell’articolo è venuto a mancare nel 2019.
Mirko Pellegrin