La Sicilia tra grotte, sorgenti, ninfe e dee

Acqua sinonimo di vita. Elemento cardine dal quale dipende la sopravvivenza dell’uomo e della civiltà, la cui importanza è tale da essere ribadita non solo nella Bibbia ma anche in poemi come Gilgamesh e i Veda, l’acqua, la sua vicinanza e il suo fluire, hanno permesso all’uomo di creare insediamenti e di rimanere in un luogo, passando da una vita di nomadismo ad una condizione di permanenza stabile, come attesta la civiltà della mezzaluna fertile, in Mesopotamia, territorio compreso tra il Tigri e l’Eufrate. L’acqua intesa come matrice universale. Esiodo dice che l’acqua è il luogo delle Ninfe, figlie di Oceano e Teti, l’acqua principio di ogni cosa e di ogni essere vivente, dall’acqua si nasce (l’ichòr citato da Omero, cioè il sangue divino, è il liquido amniotico che fuoriesce al momento del parto), nell’acqua si è immersi per ”una regressione e rigenerazione totale, poiché l’immersione equivale ad una dissoluzione delle forme, ad una reintegrazione nel mondo indifferenziato della preesistenza”, come afferma Mircea Eliade, antropologo, mitografo, filosofo, storico delle religioni e scrittore nei suoi saggi.

Facile quindi pensare che per la sua importanza l’acqua diventa un luogo mitico, da preservare e conservare e come tale affidato alla cura e alla presenza di divinità. L’acqua diventa anche una sorta di discrimine fra il mondo antropizzato e la natura incontaminata, sede di presenze poste a guardia dell’elemento prezioso, che per la maggior parte dei casi vivono in grotte, così care anche al mondo siciliano per i riflessi che vi si riverberano e per l’oscurità misteriosa che vi domina e che diventa presupposto di racconti, o meglio, di cunti, di cui la mia terra abbonda. E se i fiumi rappresentano l’elemento maschile, le ninfe, invece, dal greco fanciulla o sposa, sono la parte femminile, e dallo scorrere di entrambi si può ricavare facilmente una corrispondenza di sentimenti, se non addirittura un legame ancora più forte come quello matrimoniale. Alle Ninfe è affidato il compito di custodire sorgenti e grotte, di nutrire le divinità (Zeus bambino docet, come pure Dioniso), e il cui compito è importantissimo, in quanto Kourotrofe, cioè allevatrici di futuri dei o eroi locali.

Luogo di abitazione delle Ninfe sono i Ninfei, luoghi naturali associati a monti o grotte vicino all’acqua, e dove sono stati ritrovati manufatti in terracotta, dalle statuette alle lucerne ai pesi del telaio, luoghi periferici, con nessuna contaminazione umana a livello di costruzione o architettura, possibilmente isolati e lontani da occhi indiscreti e dove uomini e donne si riunivano di notte per cantare e danzare in onore delle Ninfe. In Sicilia il culto delle divinità fluviali era presente già prima dell’insediamento della civiltà greca, come sostiene il Ciaceri, visto il carattere agricolo e pastorizio delle popolazioni autoctone che dovevano bene conoscere la collocazione di sorgenti e di fiumi da cui traevano benefici per la loro stessa sopravvivenza. E la stessa spiegazione era stata data, secoli prima, da Diodoro, che presenta le Ninfe come originarie dell’isola e che accolgono con la consueta ospitalità Atena, Artemide e le altre divinità greche facendo sgorgare per loro sorgenti d’acqua, come luogo di ristoro.

Non stupisce che molti dei fiumi siciliani conservano ancora oggi nomi di divinità, poiché personificazioni di un dio, come il fiume Akraghas, che diede il nome alla città, o l’Heloros, quello che oggi si chiama Tellaro, o l’Anapo a Siracusa, come si può ricavare dalle effigi presenti nelle monete o nella letteratura greca (il mito di Alfeo e Aretusa, ad esempio). La presenza delle Ninfe nelle grotte e nelle sorgenti (luogo perfetto per una rigenerazione totale vista la purezza dell’acqua stessa appena sgorgata e quindi incontaminata) in Sicilia è attestata in molti luoghi dell’isola e la sovrapposizione della dominazione greca a riti autoctoni appare evidente: il Santuario rupestre nei pressi di Agrigento, addossato alla parete rocciosa, formato da una serie di vasche comunicanti, fornito di gallerie nelle quali recenti scavi hanno rinvenuto una grande quantità di statuette votive dedicate a Demetra e a Kore. Ancora: a Centuripe, borgo in provincia di Enna, la cui conformazione straordinaria ricorda la forma di una stella o di un uomo e il Ninfeo di Siracusa, accanto al Teatro Greco, scavato accanto al colle Temenite (dal greco temenos, recinto sacro) e rappresentato negli acquerelli di Jean-Pierre Houel, già citato in queste pagine. E infine Marsala, dove nella sua grotta pare abbia vissuto per qualche tempo la Sibilla, poiché alla Ninfe era stato dato anche il dono di profetare, e che la grotta stessa sia diventata la sua tomba.

Due annotazioni prima di concludere: le pratiche dedicate alla Ninfe, dapprima fortemente perseguitate dalla Chiesa, poiché saranno nel tempo mantenute nonostante atti conciliari, sinodali e prescrizioni varie, verranno rielaborate e riassorbite dalla Chiesa stessa, secondo un processo di sincretismo religioso già ampiamente utilizzato: così sul Santuario rupestre di Agrigento è stata costruita la chiesa di san Biagio, la chiesa dell’Immacolata sui resti delle grotte a Centuripe e quella dedicata a san Giovanni Battista sulla grotta della Sibilla. Ma il sincretismo non si ferma solo a questo: l’acqua lustrale che sgorgava dalla grotta della Sibilla è diventata acqua miracolosa come rimedio a molti malanni le cui proprietà miracolose si rinnovano ogni anno per la festa del precursore di Cristo, il ventiquattro del mese di giugno, all’inizio del solstizio d’estate, cosa che accade anche al santuario di Chiaramonte Gulfi, dedicato alla Vergine Maria. Ma non sempre questa sovrapposizione di culti ha avuto un riscontro positivo: la tradizione popolare cristiana ha fatto delle ninfe della tradizione mitologica anche essere maligni, diavoli con sembianze femminili, abitatrici di paludi, dove la presenza di acqua stagnante, così diversa dalla purezza di quella appena sgorgata dalle sorgenti, insieme ai miasmi e a moscerini e altri insetti rendeva il luogo inabitabile, associato alla presenza di divinità ctonie.

Fiabe e racconti della tradizione popolare siciliane hanno ripreso queste narrazioni, come ci racconta il Pitrè, già citato anche lui in questa pagine. Così le ninfe delle paludi diventano donzelle che vivono nei boschi cacciando serpi e uccelli, custodi, come sempre, di meravigliosi tesori, oppure fate, sette per la precisione, che vivono in un ipotetico cortile a custodia di un altrettanto ipotetico tesoro. Infine, altra figura della tradizione popolare è la Monacella della Fontana, che vive nei monti Iblei, in una cava profonda dove laghi e piccole cascate sono il suo habitat naturale.

Ma questa è un’altra storia

Adriana Antoci