Rubli e lire

Si intitola “Rubli e lire” il romanzo di Daniele Ossola edito da PlaceBook publishing & Writer Agency. Daniele Ossola è nato ad Asola, in provincia di Mantova ed ha vissuto per molti anni a Milano, dove si è laureato in Economia e Commercio all’Università Cattolica. Vive a Ranco, in provincia di Varese). Coordina laboratori teatrali di dizione e postura, di lettura teatrale e scrittura creativa presso le classi quarte e quinte nelle Scuole Primarie di Angera e Ranco. Vincitore e finalista in numerosi Concorsi Letterari nazionali e internazionali, lo abbiamo intervistato per i lettori di Kukaos.

Come ti è venuta l’idea di questo romanzo?

Il tutto è nato dopo la presentazione di un mio libro ad Arese, con la presenza, in qualità di lettrice, di Simona Blasutig. Successiva cena con abbondante bevuta e ulteriore ribevuta di superalcolici a casa di amici. A questo punto ho avuto una visione. Davanti a me c’era non la Simona che conoscevo (lettrice e scrittrice di poesie) ma una sorta di Mr. Hyde che raccontava, sicuramente sotto l’effetto di grappe varie, alcuni fatti di storia vissuta. Anch’io, leggermente offuscato non da acqua minerale, immaginavo queste storie a modo mio.

Alla fine ho proposto a Simona di scrivere un libro assieme: lei si sarebbe occupata di raccontare alcune sue vicende personali, ovviamente travisate e modificate nello spazio e nel tempo.

Infatti abbiamo deciso di ambientare questi spezzoni di vita vissuta non negli anni ’70 ma vent’anni prima, con tutti i riferimenti storici modificati. Siamo quindi negli anni ’50 al culmine dello stalinismo e, dopo la morte del baffone nel ’53, con l’arrivo di Kruscev le cose continuano come prima, se non peggio. Dalla destalinizzazione alla destabilizzazione.

E perché hai scelto, in una sorta di dicotomia, Italia e Russia?

Perché Simona era stata un paio di volte a Mosca, lavorava sì come segretaria in un laboratorio medico ma, indirettamente, aveva vissuto sia i maneggi medici all’interno del laboratorio PRE.CU., sia il ruolo delle donne in URSS poiché aveva un’amica a Mosca. Mi ha raccontato lo scorrere quotidiano della vita di una donna. La vecchia Unione Sovietica si reggeva sulle loro gambe, sul sacrificio indicibile di donne chiamate a essere spose, amanti, lavoratrici, serve, madri, infermiere, ma in più a dover lottare quattro ore in media al giorno per far la spesa. Mi ha raccontato la storia di Gorislava, che sintetizza l’essere donna, moglie e madre.

A proposito di Gorislava, mi hai parlato del racconto “La giornata di Gorislava” tratto da RUBLI E LIRE e pubblicato su una rivista polacca…

Avevo inviato, attraverso un’amica scrittrice polacca, alcuni racconti tratti da RUBLI E LIRE, da pubblicare sulla rivista culturale BezKres (Infinito). L’editore ha scelto quello di Gorislava (pubblicato nel mese di giugno 2022) perché ancor oggi attuale in Russia nonostante siano trascorsi più di sessant’anni dall’ambientazione del racconto. Donne chetengono in piedi una casa e una nazione che, in cambio, ha dato loro decenni di stipendi da fame, statue di bronzo, file nei negozi e ora inverni di angoscia e ancora di fame. Nell’antico dilemma fra pane e libertà che da sempre tormenta la Russia incapace di dare insieme l’uno e l’altra, molte donne rischiano di scendere in campo dalla parte del pane. Non una nazione, ma un colossale gioco delle parti con milioni di attori divisi fra vittime e carnefici basato sull’inganno dove una macchina organizzativa nasconde dietro la facciata l’omino timido, gentile e povero che è il popolo sovietico.

Questo è un romanzo storico, quali fonti hai utilizzato?

Venendo da Economia e Commercio con indirizzo storico, avendo frequentato durante il ‘68 a Milano Mario Capanna (era prima in Cattolica, poi l’hanno cacciato e si è trasferito alla Statale) ho avuto accesso a libri, opuscoli, testate giornalistiche nelle quali cercavo il giornalista di turno che faceva le pulci al regime. Il mondo sovietico mi ha sempre affascinato con questa ossessione di voler dimostrare al mondo intero, attraverso i suoi oligarchi, la sua potenza militare contrapposta alla misera quotidianità della gente comune.

Parlando di contesto sanitario, Lenin permise ai medici di affiancare forme di assistenza privata al dovere di prestare servizio negli ospedali e negli ambulatori pubblici. Con Stalin, la situazione cambiò radicalmente. Le ultime isole di medicina privata furono inghiottite dalla collettivizzazione.

I medici di punta, i baroni, i ricercatori che davano segni di autonomia intellettuale, raggiunsero i cortei dei deportati e dei carcerati verso la Siberia o i plotoni di esecuzione nel nome del socialismo medico.

A chi ti sei ispirato per creare i personaggi?

Simona si è focalizzata sui personaggi femminili: Aurora e Angelina amiche e colleghe al laboratorio PRE.CU. (PREvenire meglio che CUrare) di Milano. Alcuni personaggi in ambito sanitario erano stati colleghi o capi di Simona e le è venuto facile decontestualizzarli.

Io mi sono occupato di tutta la parte storica intervenendo anche nella caratterizzazione dei vari personaggi in quanto, venendo dal teatro, mi risulta facile connotare e differenziare i vari ruoli. Ho lavorato molto sul personaggio di Aurora che, come gli uomini di una Milano in piena corsa verso quello che diventerà poi il boom economico, vengono assorbiti da una corsa che invece di unirli li isolava. Aurora, che è iscritta al Circolo “Lenin” di Viale Padova, riflette sul ruolo dei binari che erano e rimanevano sempre incongiungibili. Sempre apparentemente più vicini in una lontana prospettiva ma mai in contatto fra loro. Capitalismo e comunismo, due binari lungo la rotta del lavoro. La caratterizzazione di quasi tutti i personaggi deriva da un vissuto sia di Simona sia mio. Abbiamo inventato poco, ci siamo divertiti a trasformare.

Hai scelto un finale inaspettato, cioè hai deciso di chiudere questa storia con il ritrovamento di un cadavere, come se fosse un giallo al contrario, ci sarà quindi un seguito?

Mi è venuta questa idea perché volevo che il personaggio di Aurora, dolce con i pazienti del laboratorio, determinata attivista nel sindacato, diventasse cinica negli affetti dopo una separazione e varie delusioni amorose. Una sorta di nemesi storica.

Bella la domanda. Non ci avevo pensato, anche se altri vorrebbero un seguito. Non ci sto lavorando ma l’ipotesi fa capolino.

Quando inventi una storia, come procedi, usi una scaletta o altre tecniche?

Delineo la vicenda principale a grandi linee. Faccio interagire il filone principale con storie parallele che spesso s’intrecciano tra loro. Ciascuna delle storie deve rispondere alle 5W: Who, What, When, Where, Why. Poi entro nel merito di ciascun personaggio (animali compresi) e individuo gli aspetti paesaggistici da descrivere in dettaglio durante alba, tramonto, temporale ecc. usando sempre la tecnica serenità/conflitto, gioia/dolore.

Che riscontri hai avuto dai tuoi lettori?

Molto positivi laddove sono riuscito a presentarlo.

Ho scoperto che l’impatto iniziale, il biglietto da visita (cioè la copertina) in occasione degli invii via mail a librerie e biblioteche in molti casi è stato un freno: falce e martello e Stalin che predomina. Molti, dalla copertina, hanno avuto l’impressione di essere di fronte a un saggio storico, non a un romanzo storico. Tieni presente che le provincie di Varese e di Milano hanno una consistente base elettorale di centro-destra.

Stai scrivendo qualcosa di nuovo in questo periodo?

In prevalenza sto promuovendo i miei libri e uno spettacolo teatrale con 12 lettori/lettrici che interpretano brani tratti da miei racconti e rappresentati in chiave teatrale. Il tutto, con musica dal vivo. Dopo gli anni di Covid, che di fatto ha azzerato i contatti, si sta cominciando a vedere la luce anche se, per il momento, non ci sono le folle di un tempo. Tornando alla stesura di qualcosa di nuovo, sono alle prese con un racconto lungo, o romanzo breve, tra amori impossibili e congiure, ambientato in Inghilterra e Francia durante la Guerra dei Cent’anni lungo la Via Francigena da Reims a Roma.

Bianca Folino