Le straordinarie avventure di Pentothal – Uno sguardo al genio di Andrea Pazienza

Andrea Pazienza è morto giovanissimo, all’improvviso, colto da quel male che ha infestato le menti artistiche più brillanti della fine del ventesimo secolo. E’ morto di tristezza, di fuga dalla realtà; una realtà invivibile, densa di tutto ciò che da questi geni viene ogni giorno condannato: la mediocrità, la deriva intellettuale, l’ignoranza, il qualunquismo; in un decennio, gli anni Ottanta, dove il consumismo sfrenato era diventato indiscusso parametro morale dell’umanità intera. Odio, indifferenza. Sensazioni che per un artista sono come pugni nello stomaco, tolgono il fiato, non danno tregua. E’ un incubo, quando la sensibilità di un uomo va oltre al proprio naso e percepisce quanto di malvagio e corrotto ci sia là fuori, un metro più avanti, pronto a dirti in un orecchio che ormai è troppo tardi.

Ad un certo punto, l’artista non può più sopportare questo peso, oppure si rende conto che sì, è vero, è troppo tardi. I casi sono due: o muore o si sputtana. Andrea Pazienza è nato a San Benedetto del Tronto, ma è cresciuto a San Severo, in provincia di Foggia, nella splendida e tormentata Puglia. Attraverso le sue mani, fin da piccolo ben addestrate dal padre e degne di un talento fuori dal comune, nascono personaggi che faranno la storia del fumetto italiano ed internazionale. Sarà autore dei testi ma soprattutto completo disegnatore, dal tratto unico e inconfondibile, umano e squisitamente emotivo. Pazienza si sposterà in vari luoghi, tra Pescara, Bologna, Montepulciano, eccetera; ma casa sua rimarrà sempre la Puglia, a San Severo, a San Menaio, sul lungomare, dove la vista è mozzafiato tanto quanto il paesaggio, incantevole. E’ difficile credere che esista davvero. E’ difficile credere che possa essere vero anche lui e le sue creature: Pentothal, Zanardi, Pompeo…Non sono personaggi inventati: rappresentano il riassunto più vero che mai dell’insoddisfazione, dell’incompiuta, della malinconia e del disincanto. Non c’è niente di più sognante e al contempo più realistico delle creazioni fumettistiche di Andrea Pazienza, che possedeva il talento di raccontare l’equilibrismo di una italianità in bilico tra i vecchi ideali di sinistra rivoluzionaria e le nuove tendenze ingorde del capitalismo chic che ormai avevano abbattuto ogni barriera politica. 

Pazienza si distinse per un’attività prolifica, varia e febbrile. Mai che fosse in tempo con una scadenza, con un impegno, ma la mole di lavoro era talmente abbondante da non renderlo mai un problema. Il problema erano gli altri, non di certo lui. Lui, che fu inserito, giovanissimo, tra gli insegnanti di fumetto e di immagine all’Università Alcatraz di Dario Fò e in altri istituti indipendenti, dove si confrontò con maestri assoluti come Magnus, Hugo Pratt, Tanino Liberatore e tanti altri. Era ancora un periodo in cui esistevano queste sinergie, queste possibilità, che al giorno d’oggi sono impensabili ed impossibili da ripetere. Era un contatto umano, una formazione autentica, un rapporto fruttuoso e geniale. Il “fermento” culturale, che oggi manca, in un’epoca sterile che non permette maturazione di alcun tipo. L’arte di Pazienza è conservata tra le pagine delle più illustri riviste fumettistiche indipendenti italiane, nella fattispecie Frigidaire e Linus. Questi due magazine non erano solo giornali, antologie di fumetti: erano capisaldi di una cultura popolare sotterranea dalle motivazioni straordinarie, in possesso delle chiavi per farsi ancora amare dai giovani e portarli a pensare, ad agire con la propria testa, poiché questo faceva Pazienza: apriva la mente. Esisteva un sottobosco pensante, pulsante, fervente. 

Ma Paz non si limitò solo ai fumetti: illustrò copertine di dischi, locandine di film, scenografie teatrali e tanto altro materiale che poteva incontrare il suo talento e farne un uso intelligente, sconsacrato, nuovo. Era anche un bravo pittore, e proprio a Montepulciano, con suo papà, avrebbe dovuto tirar su una mostra dei suoi lavori. Ma era troppo tardi. Andrea aveva visto come sarebbe stato il mondo da lì a poco, ed era fuggito.

Michele Simonetti