Riflessione sul cinema del Brat Pack

Fu chiamato Brat Pack a causa della solita tendenza dei giornali americani a far giochetti di parole con reminiscenze derivative. Tratto dall’originale Rat Pack, il “clan” di Sinatra, il gruppo di “ragazzi d’oro” del cinema anni Ottanta vide la luce grazie alle brillanti intuizioni di artisti visionari come Lawrence Kasdan, Joel Schumacher e John Hughes. Hughes, abilissimo nel ricreare un immaginario narrativo che al meglio riassumesse le tendenze giovanili dell’epoca, seppe incidere nella sacra pietra del cult dialoghi memorabili, figli dell’incomprensione e della contemporaneità in aperta negazione con il reaganiano cinema d’azione coevo.
Perché stiamo parlando di una grande epoca di cinema che ha rivoluzionato un decennio senza cadere nel kitsch, rimanendo misurato e riuscendo nell’intento di donare dinamismo alle immagini tramite le emozioni anziché le esplosioni.
Il Brat Pack, dunque, che cos’era? Possiamo dire che fosse la linfa vitale di questo movimento cinematografico. Una selezione di attori giovani e intensi, belli, ribelli e sfrontati, spontanei e talentuosi, che seppero ricreare le loro stesse turbe dietro ad una sapiente guida alla macchina da presa.


Matthew Broderick, Robert Downey Jr., Judd Nelson, Emilio Estevez, Anthony Michael Hall, Molly Ringwald, Mia Sara, Demi Moore, Rob Lowe, Kevin Bacon e tanti altri che vi gravitavano attorno, attraverso l’abile occhio di altri grandi registi che colsero l’urgenza e la rilevanza di trattare argomenti del genere, come lo stesso Francis Ford Coppola che in Rusty il Selvaggio ha “corrotto” lo spirito benevolo delle commedie del Brat Pack, ponendo quesiti più dolorosi e apponendo l’accento grave sulla giovinezza, mediante l’uso di ragazzi altrettanto brillanti come Matt Dillon e Nicolas Cage. Ma torniamo a quando tutto è cominciato, quando la leggerezza – nonostante tutto – aveva ancora il sopravvento sugli altri sentimenti. Correva l’anno 1983 e nelle sale cinematografiche esce “Il Grande Freddo” di Kasdan. Qui un ex gruppo di grandi amici fa i conti con la gelida temperatura dell’età adulta, in un epico scontro passivo/aggressivo tra il tempo che inesorabile passa e i sogni che si sono infranti. Antichi amori tornano a galla in un disperato tentativo di arginare l’evolversi della vita e sotterranei attriti si riaffacciano a minare la fiducia di una promessa di amicizia eterna che purtroppo si rivela impossibile da mantenere.


Nel suo cuore drammatico e soffocante, il film riluce però di una brillantezza e di un ritmo che sconvolgono il pubblico. La gente si immedesima in queste scene, le persone impazziscono per le frasi che caratterizzano i personaggi. E’ una questione di dinamismo e la commedia, quando possiede contenuti drammatici, diventa un capolavoro.
John Hughes, estimatore di Kasdan e del suo lavoro di ricerca antropologica, ne comprende il potenziale firmando una serie di pellicole che attrarranno il cuore degli adolescenti e dei giovani.
Nascono film per affamati ragazzi che vogliono una loro personale epoca, un proprio riconoscimento, che affermi il loro senso di appartenenza: sono i teenagers degli anni Ottanta ed essi sentono di valere tanto quanto i “matusa” rappresentati fino ad ora sul grande schermo. Ed ecco che “Il Grande Freddo” sarà fonte di ispirazione per tutto e tutti. Resta da trovare un gruppo di attori esordienti e maledettamente bravi.
Caso vuole che la fucina di Hollywood partorisca talenti favolosi mediante un nuovo metodo: gli spot pubblicitari. E’ qui che i registi vanno a pescare i componenti del roster che a breve diverrà il Brat Pack. Il nuovo linguaggio visivo formattato per la Tv e per i tempi sempre più veloci impone figure giovanili e leggere. La ricetta è servita.

Questi ragazzi incorniceranno personaggi e storie che rimarranno nel mito e che oggi suggeriscono con ambiziosa semplicità la lezione di un periodo fecondo che altrimenti sarebbe bollato dallo stigma della volgarità e della vuotezza. Un esempio su tutti è “Breakfast Club” di John Hughes. Un eterogeneo gruppo di liceali viene trattenuto a scuola di sabato per punizione, da scontare scrivendo un tema davanti al severo e caricaturale sguardo del “professore”. Ogni ragazzo ha la sua personale storia che lo ha portato ad infrangere le regole dell’istituto; inizialmente c’è silenzio, un gelido mutismo fatto di punti presi che si definisce mancanza di comunicazione. Una sgradevole sensazione di imbarazzo che coglie anche lo spettatore. L’unione forzata opera però una svolta che avvicina i ragazzi e che li porta a solidarizzare, arrivando a comprendere come siano simili, prigionieri dell’esistenza. Scoprono di condividere la stessa rabbia, il senso di oppressione ed è così che gli animi si scaldano e gli attriti emergono dando vita a memorabili dialoghi che portano inevitabilmente allo spaventoso confronto che rende più maturi. Sono adolescenti fragili che diventeranno amici veri, accomunati dal terrore che provano verso il futuro. E la nebbia si dissipa manifestando le abbaglianti luci dell’amore e della cooperazione.

Un must, un film che regala emozioni e che per sempre sarà di enorme aiuto alla comprensione di una generazione. Tutto torna di moda ma qui non si parla di di manie temporanee da copertina, siamo bensì di fronte ad una serie di film densi di contenuti, mentalmente aperti e mirabilmente sopravvissuti alla rovina del tempo. Nel cinema del Brat Pack si parla di adolescenza, rabbia, antagonismo, vita e morte; si affrontano temi forti con il piglio di chi è ancora in grado di sognare. C’è disillusione nell’illusione, c’è un quotidiano fatto di scuola, allenamenti, litigi e famiglia. Ma soprattutto si parla d’amore e l’amore, si sa, è un linguaggio universale. Il cinema disubbidiente di Kasdan, di Hughes, del “Grande Freddo” che inesorabile raggiunge tutti quando ci affacciamo all’età adulta. La missione è quella di non farci mai dimenticare il nostro io, le nostre ambizioni e il tormento romantico che è l’unico strumento che ci tiene in vita.

Michele Simonetti