Riscrivere le regole del gioco

Un calcio dove oggi puoi acquistare un giocatore che non risponderà alle aspettative previste è possibile ma decisamente improbabile: il bagaglio di informazioni che hai, tra giornali stranieri, il web e la televisione è tale che un’idea concreta del suo percorso e delle sue caratteristiche non può sfuggirti, anche se viene da una parte sperduta del mondo. Ma fino a qualche anno fa la storia era diversa. Nel brasile degli anni ’80 ci fu un calciatore che riuscì a giocare in alcune delle più grandi squadre di quel paese. Il Botafogo, la Fluminense, il Flamengo, l’America di Rio de Janeiro, il Bangu, il Vasco de Gama… Ma anche in Argentina, negli Stati uniti, in Portogallo, in Francia… senza saper giocare a pallone. Anzi, senza nemmeno voler giocare a pallone. Un ragazzone atletico, dalle gambe possenti e lo sguardo da rubacuori, con una vaga somiglianza con il libero tedesco Beckenbauer, che gli aveva procurato il soprannome di Kaiser. Come Beckenbauer era Kaiser Frantz, lui era Carlos Kaiser Henrique Raposo. Sarebbe stato un attaccante se avesse saputo dove mettersi in campo, ma lui non sapeva neanche quello.

Era nato nel Rio Grande do Sul da una famiglia povera. Mamma cuoca, papà riparatore di ascensori, e nelle partite a piedi scalzi sulle strade di terra sembrava avesse realmente delle doti. Soprattutto un tiro al fulmicotone. Ma già a sedici anni, assoldato da messicani del Puebla, capisce che il calcio non fa per lui. Non ha abbastanza talento. Ma capisce anche che la vita del calciatore invece non è niente male. Decide allora di diventare un calciatore professionista senza dover giocare. E ci riesce. Per ventisei anni. Cambiando squadra praticamente ogni stagione, e spesso senza entrare in campo nemmeno per un minuto. Carlos Kaiser mette a punto un meccanismo molto ingegnoso. Diventa amico dei più grandi calciatori brasiliani del tempo, da Edmundo a Portaluppi, da Bebeto a Romario, e di tutti i suoi colleghi di spogliatoio, a cui procura ragazze per le uscite in discoteca, risolve problemi, compie commissioni, li fa divertire, e quelli parlano bene di lui e lo coprono in allenamento. Quando lo fa, l’allenamento! Perché Carlos Kaiser finge per quasi tutta la sua carriera di essere infortunato, esibendo certificati medici che gli prepara un amico dentista, tanto a quei tempi non esistevano ancora le risonanze magnetiche. Appena sembra pronto a ritornare in campo, il campione complice di turno gli entra duro alla prima azione, lui finge di farsi male di nuovo e il gioco è fatto. Poi, grazie al suo talento di truffatore, riesce a trovare un nuovo ingaggio per l’anno dopo e le grandi squadre continuano a cascarci.

Perché Carlos è un maestro. Gli unici problemi che aveva, dice di lui Ricardo Rocha, che fu anche difensore del Real Madrid, li aveva col pallone. Pallone che lui si guarda bene dal toccare. Se l’azione si sviluppava a destra, lui si buttava a sinistra, racconta l’ex-romanista Renato Portaluppi, che Carlos superò persino nel ruolo di seduttore, se il gioco andava verso sinistra, lui scappava a destra. Mentre milita nel Bangu, rischia un giorno di essere smascherato perché il presidente della squadra, che sta perdendo, si spazientisce e ordina con il walkie talkie all’allenatore di far entrare in campo per una volta quel centravanti misterioso che paga da tempo senza averlo mai visto giocare. Raposo non sa come cavarsela, ma mentre si scalda a bordo campo, scavalca all’improvviso la recinzione e si azzuffa con uno spettatore. Uno a caso. Risultato: espulso. Al presidente che arriva minaccioso nello spogliatoio, piagnucola Lei è il padre che io non ho più, quello ha parlato male di lei e non ci ho visto più. E il rimprovero diventa un altro anno di contratto. Per mesi, gira negli spogliatoi con un telefonino primordiale all’orecchio parlando inglese con presunti presidenti che lo vogliono ingaggiare, ma si scoprirà che il telefonino è un giocattolo e Carlos Kaiser l’inglese non lo conosce.

Ma conosce l’arte dell’inganno, e gira il mondo, ogni volta con una maglia diversa. Firma sempre un contratto corto, anche solo sei mesi, riceve i bonus e se ne va subito in infermeria. Arrivato ad Ajaccio, serie B francese, dove diventerà amico di tutti i membri della mafia corsa, lo invitano a palleggiare davanti alla folla per stupire i tifosi. Ma lui non sa palleggiare, e si leva d’impaccio tirando in tribuna tutti i palloni che gli porgono, e baciando platealmente la maglia. Diventa un idolo, anche se entrerà in campo solo dieci volte, per sette minuti al massimo. Quando si ritira, avrà indossato la maglia di trentuno squadre, giocato, si fa per dire, 30 partite e segnato, ovviamente, zero gol. Oggi fa il trainer, e non sente di doversi scusare di nulla, perché, dice, le squadre illudono un sacco di giocatori, e qualcuno, doveva pur vendicarli. Carlos Kaiser Henrique Raposo. Il più grande giocatore del mondo che non sapeva giocare.

Guido Cornia