San Giuseppe: feste e festeggiamenti

Ci ritroviamo ancora una volta a parlare di tradizioni, culto di santi, feste siciliane. Protagonista è San Giuseppe. In Occidente fu il papa Sisto IV nel 1479 a inserire la festività nel calendario romano, il giorno prescelto fu il 19 Marzo perché si crede sia stato il giorno della morte del Santo. Sposo terreno di Maria, padre putativo di Gesù, falegname laborioso, uomo giusto e pio incarna alla perfezione la figura di papà buono. Accettò con umiltà e fede ciò che Dio gli aveva predestinato, visse silenziosamente, infatti nessuna sua frase viene riportata sui testi biblici. Definito uomo del silenzio, patrono della buona morte e protettore di tutti i lavoratori. Iconograficamente rappresentato con un bastone in mano da cui sbocciano tre gigli, simbolo di purezza. Il giglio che rappresenta il bastone di San Giuseppe detto in vernacolo, u vastuni ri Sangiusippulu, si può ammirare in tutta la sua semplice bellezza in alcuni campi incolti, dove cresce spontaneamente proprio a marzo.

Molteplici le manifestazioni in suo onore.

Nella manifestazione religiosa folkloristica popolare che si tiene tutt’ora a Scicli, città Patrimonio Unesco della provincia di Ragusa, spicca la suggestiva cavalcata di San Giuseppe. Ben radicata nella cultura contadina si pensa abbia origine sin dal Medioevo, quando per auspicare un buon raccolto si mettevano in scena drammi sacri. Il fiore indispensabile per pianificare la buona riuscita della festa è u balicu cioè la violaciocca. Con l’approssimarsi dei festeggiamenti inizia la raccolta dei fiori per realizzare la sontuosa bardatura dei cavalli e partecipare così alla tradizionale cavalcata. Due le tipologie di bardature disponibili: quella all’antica utilizzata solo per la parte posteriore del cavallo e quella intera che invece copre tutto il dorso. I fiori arrivano da ogni parte dell’isola, anni fa era usanza spostarsi nelle zone limitrofe, per andare alla ricerca dei preziosi petali. I scudditura ri balicu giravano per intere giornate, ispezionando minuziosamente ogni angolo di giardino e ogni balcone fiorito, bussando di porta in porta per chiedere un po’ di quella meravigliosa e insostituibile violaciocca.

Foto gentilmente offerta dalla famiglia Rizza

A raccolta avvenuta, gruppi di persone riunite nei dammusi delle loro abitazioni iniziano un lungo e laborioso percorso. Mani esperte e sicure affiancano mani inesperte ma volenterose. Insieme con impegno compongono disegni meravigliosi raffiguranti immagini e simboli sacri che diventano delle vere opere d’arte. Ricordiamoci che l’arte non è solo talento ma prima di tutto è sentimento. I manti, ottenuti dall’intreccio dei fiori nei sacchi di juta che spesso rievocano la fuga della Sacra Famiglia in Egitto arrivano a pesare dai sessanta ai novanta chili, i più pesanti non poggiano direttamente sul cavallo ma su telai costruiti appositamente. Le migliori bardature verranno premiate dagli organizzatori della festa. Messa da parte quel pizzico di sana competizione creatasi tra i vari gruppi, cavalli forti e robusti bardati a festa e cavalieri nel tradizionale abbigliamento da contadino sono pronti per la sfilata. A rendere più caratteristico il tutto è l’immancabile copricapo indossato dai cavalieri, la burritta co gghiummu. Emozionante l’inconfondibile suono delle cianciane che unito alle urla dei devoti in onore del Patriarca lascia un’impronta perenne nella memoria dei visitatori. La Sagra di San Giuseppe fa da sfondo alla festa che si conclude con la degustazione del cucciddatu sciclitanu prodotto da forno a forma di ciambella, farcito con ricotta o salsiccia e con l’accensione di: pagghiara o pagghiaru, luminaria o luminagghia, duminaria e fucati, vampa o vampanigghia ovvero i tradizionali falò, un rito pagano che rappresentava la fine del buio della notte e l’inizio della luce del giorno, ossia il risveglio della natura.

Ed è proprio chi ha vissuto di persona quei momenti indelebili che racconta di quando gli abitanti delle contrade rurali si riunivano in piccoli gruppi, e dopo aver formato al centro del bagghiu una cupola di rami secchi, pezzi di legna e vecchi oggetti raccattati durante l’anno e messi da parte appositamente, veniva acceso il fuoco di Sangiusippulu. Il calore emanato avrebbe riscaldato il Santo durante il suo cammino, così dicevano metaforicamente i grandi. In attesa che la legna si consumasse e poter portare un po’ di quel fuoco benedetto a casa si osannava il Santo con una tipica preghiera:

Viva u Patriarca! Viva u Patriarca Sangiuseppi!

San Giusippulu, patriarca ‘mmaculatu

ri Gesù custodi amatu, castu sposu ri Maria

protiggiti l’anima mia.

Maria è a rosa, vui siti u gigliu

Ratimi aiutu riparu e cunsigliu.

Al termine della serata si gustavano salsicce alla brace e dolci fatti in casa: zeppole, frittelle, cannoli di ricotta o co biancomanciari, una soffice e delicata crema di latte aromatizzata con buccia di limone. Altre varietà di dolci insieme ai prodotti tipici della zona, quali: olio evo, uova fresche, galletti ruspanti, verdure e ortaggi provenienti da colture rigorosamente biologiche, vino, provole fresche e caciotte speziate per il palato dei più esigenti abbondavano nella cena di San Giuseppi, la tradizionale vendita di doni all’asta a scopo benefico.

Leccornie e ogni altro ben di Dio si possono trovare ancora oggi nelle grandi tavolate di San Giuseppe, in molti paesi del nostro comprensorio, lautamente imbandite e allestite negli oratori delle chiese. Impreziosite per l’occasione da bianche tovaglie ricamate a mano. Non mancano la frutta, le piante, i fiori, le candele accese e la singolare icona della Sacra Famiglia. La serie di eventi in onore del Patriarca, l’esplosione di colori, odori e sapori in una location dove il tempo sembra essersi fermato, gode di una grande partecipazione di fedeli, sicuramente non ne delude le aspettative, ma ne incanta fortemente l’anima.

Maria Gulino