Santa Maria dell’Idria: puro Barocco

Se qualcosa raccoglie l’essenza della Sicilia, in tutte le sue manifestazioni, è la Settimana Santa e le sue processioni. Non c’è paese o città che non ricordi gli ultimi momenti di Gesù sulla terra” (Da La città in giallo, Palazzolo Acreide 4, PlaceBook Publishing).

Nella città dalle trentratrè chiese, un gioiello rimane nascosto ai più, tra le scale che collegano Ibla con Ragusa. Nata come cappella di palazzo e per questo priva di coro e di scranni per il clero, la Chiesa di Santa Maria dell’Idria è un unicum nel panorama sia pur strepitoso del barocco ibleo.

L’edificio, la cui costruzione fu ultimata nei primi anni del XVIII secolo, fa parte del complesso chiamato “Palazzo Cosentini”, una costruzione che si affaccia su tre vie, al centro della piazza degli Archi, con due ingressi separati, uno sul Corso Mazzini e l’altro sulla salita Commendatore, una scala piana e lunga a metà della quale si apre il portone della Chiesa dedicata alla Madonna Addolorata, culto importato dalla Spagna e che si innesta su quello primario della Madonna Odigitria, di origine chiaramente bizantina, raffigurata con il Bambino in braccio e che, nei corsi e ricorsi storici che tanta parte hanno avuto in questo pezzo di terra, viene soppiantato da quello della Madonna dell’Idria, o Addolorata, pur mantenendo il significato primigenio, cioè di colei che indica la via (da odùs, in greco via, strada). La Chiesa, costruita solo con l’utilizzo di materiali locali, è assolutamente priva di decorazioni in marmo. All’interno troviamo sette altari e una cappella, dedicata alla Madonna del chiodo, l’immagine della Vergine che tiene tra le mani uno degli strumenti della crocifissione del figlio.

Di recente è stata restaurata con un lavoro lungo e complesso che ha messo in sicurezza la struttura e il campanile annesso, ha ripristinato il soffitto a cassettoni e il pavimento in pece e ha riportato alla lucentezza traslucida il bianco del calcare tenero con cui sono costruiti gli altari. Forse per la sua posizione in mezzo alla scalinata, forse perché chiusa all’interno di un gruppo di case che le fanno quasi da protezione, potrebbe apparire defilata e lontana dallo scorrere frenetico dei giorni. Ma prima della festa di Pasqua, si anima. Il portone con le insegne dei Cavalieri di Malta si apre, lasciando intravedere un miracolo architettonico come pochi: quadri che parlano, statue della Vergine vestita a lutto, immagini di santi intercessori come san Giuseppe e san Biagio, crocifissi e lastre tombali fanno di questa Chiesa una manifestazione possente di fede e devozione.La statua della Vergine, “alta, solenne, vestita di nero”, con la spada che le apre il petto seminascosta da un fazzoletto di pizzo, apri i riti della Settimana Santa a Ibla. Dopo di Lei, altri simulacri ricorderanno i momenti della passione di Cristo, in una sorta di via crucis itinerante fra le vie e i vicoli del quartiere barocco fino al giovedì santo, giorno della messa in Coena Domini.

L’accompagna una musica dolente fra stendardi di confraternite e, soprattutto, ricordi e memoria di cose passate ma sempre presenti Lei scende, sorretta dai devoti, dall’ampia scalinata che costeggia palazzo Cosentini, preceduta da due file di candele accese, seguita dalla banda e dai fedeli, e raggiunge il Duomo di San Giorgio, per poi ritornare indietro, fino alla piazza degli Archi. Rientra in Chiesa, che rimarrà aperta fino al venerdì santo per il rito antico del Visito. Un tempo le donne del quartiere a turno vegliavano la statua della Madonna e del Cristo morto nella notte più buia dell’anno, recitando sommessamente le litanie dell’Addolorata in una sorta di nenia che nel silenzio illuminato solo dalla prima luna piena di primavera sembrava diventare la ninna nanna che ogni madre recita al proprio figlio per farlo dormire. Al di là della fede e della devozione, un insieme straordinario di barocco spagnolo, teatralità greca, gestualità siciliana che in questa terra rinnova emozioni e suggestioni.

Due curiosità prima di chiudere: il simulacro della Madonna, con un abito di velluto ricamato in oro, è composto da parti mobili: veniva smontato alla fine della settimana santa, la testa e le mani conservate in casa Cosentini, la statua rivestita poi dalle sole donne prima della riapertura della Chiesa.

Inoltre, il Crocifisso posto sulla destra dell’altare maggiore è stato restaurato a cura del Club Inner Wheel di Ragusa, che ha voluto così restituire alla fruizione della città uno dei pezzi più preziosi che la Chiesa possiede.

Adriana Antoci