Una scelta poetica

Alberto Barina si presenta ai lettori di Kukaos nella veste di editor delle collane di poesia della Placebook Publishing & Writer Agency per la quale ha pubblicato anche le due sillogi “L’Urto della sensibilità” e “Gli idoli sbagliati”. Abbiamo parlato con lui di poesia e delle scelte che un editor fa quando si tratta di pubblicazioni di raccolte poetiche e non solo. Vi proponiamo la sua intervista.

Tu sei il direttore artistico della Placebook, cioè colui che è responsabile delle collane di poesie. Come è nata questa collaborazione?

La collaborazione è nata in maniera del tutto inattesa e spontanea. Sicuramente non era nelle mie previsioni fare l’editor per una agenzia letteraria ed occuparmi della scelta di autori di poesia da pubblicare; non avevo mai pensato a questa ipotesi. L’ho intesa un po’ come una sfida con me stesso.Fabio Pedrazzi mi ha chiesto se avessi avuto il piacere di occuparmi di questa cosa ed ho accettato di buon grado. Devo dire che ho scoperto tanti bravi (spesso giovani) autori, o per lo meno per me lo sono.

Però tu sei anche un poeta…

Così dicono! Così si dice! Nella mia pseudo-biografia dico che forse dovrei scusarmi se a volte mi definisco poeta o se altre persone mi chiamano con questo appellativo. Dalle due pubblicazioni che ho posto in essere con PlaceBook, devo dire che ho ottenuto delle belle soddisfazioni.

Ecco ti preferisci nel tuo ruolo di poeta o in quello di direttore artistico?

Non saprei. Sono due ruoli completamente diversi, e forse ti sorprenderà, ma nessuno dei due mi appartiene appieno. Poi per portare le “corone” in testa, nell’uno e nell’altro caso, credo ci voglia anche uno spirito ed un carattere che io non ho. Ti direi che forse mi è più semplice scrivere che valutare i testi degli altri (e se è vero che sono molto critico con ciò che scrivo, figuriamoci con i testi altrui… eeheheheh!) Sono due ruoli che metaforicamente potrebbero essere definiti con un “dentro” e un “fuori”. Quando scrivo sono chiamato ad essere “dentro” alla poesia, quando leggo poesie di altri autori le devo valutare da…”fuori”.

Chi ha scelto i nomi della due collane? Che differenza c’è tra le due?

In realtà la collana “Gli unicorni” esisteva già. Assieme a Fabio, contestualmente al mio incarico, abbiamo però avvertito la necessità di differenziare ulteriormente gli stili di scrittura dei vari autori, proponendo una ulteriore collana il cui nome l’ho scelto io: “Gli ippocampi”, dedicata ad autori magari con un curriculum di pubblicazioni e scritture già avviato, non necessariamente noti, che fosse incentrata proprio su un tipo di poesia più elaborata e ricercata nella stesura, nell’utilizzo del linguaggio, con un taglio un po’ più moderno e contemporaneo.

Quali caratteristiche deve avere una poesia affinché sia selezionata per la pubblicazione?

L’editor dovrebbe avere uno sguardo ed un metro di valutazione obiettivo e mediato con un giudizio soggettivo, quando individua un testo o una silloge che può essere pubblicata. Sai, scegliere una poesia o un intero lavoro non è facile, anche perché “non è una formula matematica”, non si tratta di valutare il Teorema di Euclide. Ogni autore è un mondo a sé. Credo entri in gioco molto anche il gusto soggettivo dell’editor. Una stessa poesia, o un’intera raccolta, a me potrebbe non convincermi o non “comunicarmi nulla” e magari un altro, la stessa, la trova un capolavoro. Personalmente non amo molto le poesie a tema amoroso, perchè scrivere poesie d’amore credo sia la cosa più difficile in assoluto e farlo bene con originalità senza scadere nei soliti cliché della poesia amorosa, mielosa, sdolcinata, non è semplice. Ad un testo basta anche una parola fuori posto… “e crolla tutto il castello”. Ci sono dei parametri grammaticali, per esempio, dai quali credo non si può prescindere, ma non serve nemmeno che lo dica, lo darei per scontato. Per questo noi chiediamo di poter leggere almeno una cinquantina di testi, come prima valutazione, che ci consentono magari di inquadrare un po’ meglio lo stile dell’autore, dove quest’ultimo ci vuole portare e farci un’idea dell’eventuale libro che si andrà a creare.

Perchè non ami le grandi raccolte di poesie e preferisci quelle di poche pagine?

E’ vero non amo troppo i tomi o le Opere Omnie. Già di poesia se ne legge (purtroppo) troppo poca e pensare a pubblicazioni di poesie di centinaia di pagine (a meno che non si tratti di Opere imprescindibili e necessarie), da un punto di vista editoriale non è facile, specie se parliamo di autori esordienti. Mi pare di vedere che anche il mercato della poesia, al di là dei grandi Classici, punta sovente a pubblicare sillogi di poesie con un numero abbastanza contenuto di pagine o comunque mai troppo lungo. Io penso che nei piccoli lavori, nelle sillogi medio-brevi il lettore possa focalizzare meglio lo stile dell’autore, possa entrare maggiormente in sintonia con lo stesso, lo possa apprezzare maggiormente, e che di conseguenza il lettore sia stimolato poi a rileggere più volte il libro. Una buona silloge di poesia non è quando viene letta ma quando viene riletta. C’è poi una banalissima questione meramente pratica… è molto più semplice eventualmente portare a spasso un piccolo volume, magari tascabile, che si può leggere anche in autobus o in sala d’attesa dal dentista o dalla parrucchiera, che un tomo di 400 o 500 pagine che al massimo leggi più amabilmente seduto sul divano di casa.

A tuo giudizio c’è bisogno di poesia nel mondo?

Qui ti rispondo e colgo l’occasione, vista l’opportunità, per farti una lunga premessa. Credo ci sia bisogno anzitutto di restituire dignità alla parola Poesia. Ultimamente la sento utilizzata un po’ troppo in ambiti forse non propriamente poetici. O si tende a confondere la Poesia con la stesura di pensieri da diario, che finiscono poi pubblicati pure dalle case editrici e smerciati come poesia. Ti faccio un esempio: Negli anni ’70 i cantautori venivano definiti “Poeti”, oggi pure i rapper vengono definiti “Poeti”, e quest’ultimi magari infarciscono i testi delle loro canzoni di quelle tre, quattro tematiche come il sesso, i soldi, la violenza (a vario grado)… magari pure verbale, apostrofano le donne definendole, quando va bene, “tipe”,oppure definiscono la musica “m***a”, arrivano a descrivere ambienti e situazioni che spesso nemmeno vivono sulla propria pelle (in alcuni casi per fortuna). Diciamo che il clima sembra più splatter che “poetico”. Inevitabile che di conseguenza il linguaggio e le parole subiscano delle modifiche, vengano snaturate (fai caso anche solo a come possano essere spostati gli accenti delle parole e a come vengono pronunciate in un brano rap/trap). Pensa poi al linguaggio parlato, quotidiano, come si è imposto nei mass-media, così come nelle canzoni appunto, e come lo stesso possa diventare magari parola scritta con un titolo in prima pagina su di un quotidiano. Sono 20 anni che gravitiamo con “Il Grande Fratello” in tv che, diciamocelo chiaramente, ha modificato, direi mortificato, snaturato e vilipeso la nostra lingua e le nostre parole, e la nostra capacità di giudizio critico. Se la tv negli anni ’50, ai suoi albori, aveva forse il compito di educare, istruire ed alfabetizzare gli italiani ora credo siamo arrivati al polo opposto: la tv che oggi vediamo e ci viene propinata credo stia diseducando, impoverendo e anafettivizzando intere fette di popolazione. Quando in tv proponi programmi in cui ha la meglio lo scontro verbale, la rissa di paese, il parlarsi uno sopra l’altro, il pianto indotto, l’intimità gettata in pasto al pubblico come alle fiere, e non da ultimo l’esaltazione del proprio Ego che deve sopraffare sempre e comunque sull’altro (su cui vengono costruiti molti reality per esempio)… credo che il linguaggio, le parole utilizzate “non se la passino bene”, non siano esattamente…quelle di Dante o di Leopardi. Quindi si, davanti a questi scenari ci sarebbe da dire che ritrovare la Poesia, parlare di Poesia è assolutamente necessario. Certo, mi pare che manchino i “Grandi Maestri” oggi, nelle varie discipline artistiche. Se ci fossero i Grandi Maestri anche il linguaggio ne gioverebbe e si potrebbe sperare in un nuovo arricchimento. Servirebbe, forse la dico grossa, un Nuovo Umanesimo della Parola.

Che cosa consiglieresti ad un giovane che si avvicina alla poesia?

Di non ascoltare i rapper e di non guardare il Grande Fratello (Ahahahahah… No dai, scherzo!!!!). Intanto bisogna capire in che modo e a che “grado” il giovane vuole avvicinarsi alla Poesia. Sicuramente, nella maggioranza dei casi, oggi, chi si avvicina alla poesia, ha già una propensione per la parola scritta, ha già un proprio bagaglio, ha già una sorta di capacità innata per riversare dei propri pensieri su di un foglio, magari fin dall’età scolastica. Anche solo rispetto a 20 anni fa, i giovani oggi hanno più possibilità di farsi notare, di farsi leggere, di entrare in contatto magari con i coetanei e confrontarsi di conseguenza, grazie appunto al web per esempio, dove siti, blog dedicati alla poesia sono un gran numero. Oggi poi vanno molto di moda gli Slam Poetry che potrebbero essere un buon trampolino di lancio per farsi conoscere, anche magari tra gli “addetti ai lavori”. Ecco, potrei dire di non aver fretta, di gustarsi piano piano la propria maturità artistica, provando e riprovando, avendo il coraggio anche di lasciare andare le cose quando è necessario. Un buon poeta, credo, debba rinunciare sempre anche un po’ a se stesso e alle sue creazioni. Potrei dire di non concepire la poesia come una competizione da ingaggiare nei conronti dell’altro, per il verso più bello o il libro migliore. L’ho visto fare, forse anche in maniera inconscia, e non è un atteggiamento propositivo ovviamente.

Esiste a tuo giudizio una parola “Che mondi possa aprirci”?

Beh! La citazione Montaliana già dice un po’ tutto. Su di un foglio quando uno scrive può accadere di tutto, può accadere il mondo. Credo di non dover aggiungere altro. Il poeta e il narratore quando scrivono inventano un mondo, si rifugiano nel loro mondo. Quindi, che ben si aprano questi mondi.

Bianca Folino