Viaggiatori stranieri in Sicilia

“Hic sunt leones” e “l’Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna”. Ossimori? Certamente. Vediamo di capire perché. Torniamo indietro nel tempo, spingiamoci fino ai primi decenni del XVIII secolo per continuare il nostro viaggio immaginario fino ai primi anni del novecento. La prima frase indica il secolare isolamento geografico e storico che aveva attanagliato non solo la Sicilia ma il sud in genere ed era riportata dai cartografi per indicare la mancanza totale di informazioni perché nessuno si era mai avventurato in zone ritenute impervie e pericolose. In aggiunta, le poche notizie che filtravano raccontavano di una Palermo distrutta dalla furia del fuoco dell’Etna, di una città chiamata Messina che forse era la capitale e, a volte, ma in modo molto vago e privo di riferimenti oggettivi, ricordavano templi grandiosi e teatri di pietra, accompagnando il tutto con la descrizione vivace e brillante di una presenza costante di predoni e di briganti.

Ma l’uomo, sappiamo bene, è fatto per conoscere, per seguire “virtute e canoscenza”, come ci dice il Sommo Poeta. Nasce così l’idea del viaggio, parola che indica l’idea dello spostarsi, che si porta dietro la consapevolezza della fatica, del pericolo, della fatica, ma anche la gioia della scoperta e il piacere di vedere luoghi diversi e conosciuti. Prende l’avvio, alla fine del XVIII secolo, il desiderio di spezzare il velo di mistero che aleggiava attorno all’isola che un tempo era stata dimora di dei ed eroi, che aveva visto Cerere cercare la figlia Proserpina, Polifemo innamorarsi di Galatea, i tragici greci raccontare di fuoco rubato e tabù violati. Certamente le prime scoperte di una Pompei ritrovata sotto metri e metri di cenere e polvere diedero una grossa spinta in tal senso, ma non dobbiamo dimenticare che gran parte di merito va al diverso concetto di pensare la vita e l’uomo che deriva dall’Illuminismo prima e in seguito dallo “sturm und drang” del Romanticismo, che vide nella riscoperta del mondo classico greco e nella sua perfezione assoluta il suo precipuo punto di riferimento.

Ma come e soprattutto chi viaggiava all’alba del XIX secolo alla scoperta di un mondo così lontano? Si viaggiava male e in modo scomodissimo, ovviamente, e viaggiava solo chi poteva permettersi di farlo: nobili soprattutto inglesi, forse desiderosi anche di sole e caldo dopo la nebbia e il freddo della loro terra, signori francesi attirati dal ricordo di un mondo greco e romano che avevano letto e studiato solo sui libri. Inizia così il periodo dei grandi viaggiatori in Sicilia, ai quali va il merito di aver fatto dimenticare la frase di apertura di queste righe e di aver reso l’immagine di una Sicilia vera, anche se a volte dura, ma incredibilmente selvaggia e bellissima, priva delle false congetture che avevano avvolto l’isola in una nebbia cupa e scura. Non erano più solo gli eruditi a voler conoscere e vedere, non solo gli archeologi o gli scienziati.

La Sicilia si apriva alla presenza di poeti e scrittori, amanti del bello e della conoscenza, pronti ad affrontare disagi notevoli. In genere, si partiva da Napoli e dopo un viaggio per mare di quattro giorni, si sbarcava a Palermo o a Messina e da lì, su scomodissime lettighe o a dorso di mulo, si partiva per il tour della Sicilia. Impresa non semplice. Dimentichiamo l’idea di turismo che abbiamo oggi. Chi arrivava non trovava quasi mai alberghi, concetto sconosciuto in una terra dove esisteva qualche locanda e dove chi arrivava poteva essere ospitato in convento o, grazie alle lettere di accompagnamento, dai notabili e dai nobili del luogo. In aggiunta, la mancanza assoluta di strade, così come le immaginiamo oggi, e di una carta geografica aggiornata rendevano difficili gli spostamenti. Erano uomini pronti ad affrontare le intemperie del tempo, con il sole, come dice Fabrizio Salina, che fa piovere fuoco come in una moderna Sodoma, le scorrerie di qualche brigante per necessità che doveva sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia, che dovevano affidarsi e fidarsi della gente luogo per sapere dove andare.

Ma la scoperta del tempio di Zeus ad Agrigento, delle mura di Timoleonte a Gela o il tramonto visto dal tempio di Segesta ripagavano di disagi, fatica e scomodità. Ci sono descrizioni bellissime ed emozionanti da parte di chi arriva per la prima volta e, scevro da pregiudizi, osserva la bellezza straordinaria della Venere Landolina, si sofferma a sentire il profumo delle zagare e guarda le immense distese di grano pronto per la mietitura. Chi ha percorso la Sicilia in lungo e largo, come Goethe, non può fare a meno non solo di raccontare la bellezza dei paesaggi, ma anche il senso profondo di ospitalità da parte dei siciliani, concetto quasi sacro in una terra che ha visto passare gli eserciti di Nicia in fuga e che ha sempre accolto tutti, da Michelangelo Merisi a San Paolo. La ricerca di templi e di una Arcadia perduta ha entusiasmato scrittori come Oscar Wilde e fotografi come Wilhem von Gloeden, che con le immagini scandalose dei giovanetti efebici e seminudi fece conoscere al mondo Taormina e la sua devastante bellezza.

Viaggiatori come Brydone o Guy de Maupassant ritrovarono in questa terra quasi una essenza primordiale, la presenza mai dimenticata dello stupor mundi, di Federico II, sovrano illuminato ante litteram e pittori e incisori come Houel, che, stordito da tanta bellezza selvaggia, rese immortali i paesaggi siciliani nei suoi acquerelli. Capitolo a parte meritano le narrazioni delle feste patronali, prima fra tutte il festino di Santa Rosalia a Palermo, la cui forza emotiva è tale da coinvolgere persino chi di un Santo forse non sapeva o non aveva mai sentito parlare. Eppure, il senso di appartenenza che descrivono i viaggiatori che assistono in prima persona a questa esplosione di colori, luci, folclore ed entusiasmo dà la cifra di un coinvolgimento non solo emotivo, ma anche passionale. Una Sicilia che si fa scoprire piano piano, tra tramonti mozzafiato e mulattiere impervie, tra caldo asfissiante e fiumi a volte in piena, tra conventi di monache votate al silenzio e le urla che accompagnano la pesca del tonno a Trapani.

Il percorso dei viaggiatori era quasi sempre lo tesso: toccava Trapani e la sua provincia, Agrigento e i suoi magnifici templi, poi si addentravano verso l’interno per arrivare a Catania, splendida nel suo barocco in costruzione e poi Taormina e di nuovo Zancle, cioè Messina, custodita dai due mostri mitologici che Ulisse racconta ad Alcinoo in uno de passi dell’Odissea, città che si sporge verso l’ altra parte della magna Grecia, la Calabria di Policoro e di Filottete. Dai percorsi dei viaggiatori era escluso quasi sempre il territorio del Ragusano, perché si preferiva puntare più su Siracusa e il suo magnifico teatro greco. Ma ogni regola ha la sua eccezione. Un nobile francese di nome Gaetano Lestrade decise di venire a visitare il versante sud orientale dell’isola. Uomo colto e raffinato, amante del bello, venne ospitato dal barone Corrado Arezzo nella sua dimora di campagna. Là rimase affascinato non solo dal luogo, ma anche da una delle figlie del barone. Ma questa è un’altra storia.

Adriana Antoci